L’attività istruttoria, nei procedimenti di separazione e divorzio, assume particolare rilevanza: le prove, infatti, spesso costituiscono l’ago della bilancia per determinare l’esito del procedimento. È, difatti, fondamentale per il difensore sostenere le ragioni della parte suffragando la propria tesi con elementi di prova quanto più specifici e tra loro coordinati.
Importante è dunque comprendere che ruolo possono assumere e-mail, sms e messaggi inviati attraverso la piattaforma di messaggistica istantanea Whatsapp.
Cosa dice la legge?
La norma di riferimento è l’art. 2712 del codice civile:
“Le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”.
Fino a qualche tempo fa, dunque, sms ed email sono stati considerati al pari di semplici riproduzioni meccaniche, un po’ come le fotografie. Di conseguenza, nei procedimenti si rendevano necessarie le perizie per verificare se il testo fosse effettivamente quello partito da un dispositivo ed arrivato all’altro o per accertare se l’email fosse stata davvero ricevuta o no.
Come può dunque dimostrarsi la genuinità e la non alterazione del messaggio spedito o ricevuto?
La Suprema Corte in sede penale, con la pronuncia n. 49016/2017, ha individuato la corretta procedura per il deposito in giudizio delle conversazioni WhatsApp affinché queste possano assumere valore di prova nel processo. E’ stato stabilito che alla trascrizione della conversazione deve necessariamente accompagnarsi, in caso di contestazione, l’acquisizione del supporto informatico nel quale quest’ultima è contenuta: allo scopo di consentire la verifica, mediante esame diretto del supporto da parte di un perito, dell’attendibilità, della veridicità e della paternità della trascrizione.
Possono dunque le e-mail, gli sms ed i messaggi Whatsapp essere considerati vere e proprie prove?
Si, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19155/2019 (cfr. conformi anche Cass. 5141/2019; Cass. 11606/2018) ha ricordato che le rappresentazioni meccaniche di fatti e di cose ex art. 2712 c.c., formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti e alle cose medesime.
In riferimento alle modalità di disconoscimento, la Suprema Corte ha puntualizzato che affinchè possa essere considerato idoneo a far perdere la qualità di prova, dovrà essere chiaro, circostanziato ed esplicito.
Ad avviso della Suprema Corte difatti il disconoscimento “deve concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta”, non può pertanto essere considerata sufficiente, per disconoscere un sms un’e-mail o un messaggio Whatsapp, una generica contestazione della prova prodotta in giudizio.
Infine, la Corte di Cassazione in questa sentenza ha anche specificato che disconoscere un messaggio virtuale, non impedisce che il giudice possa -in via del tutto discrezionale- stabilire che sia conforme ai fatti ed alle cose attraverso altri mezzi di prova, come ad esempio attraverso delle c.d. presunzioni.
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